Convento degli Olivetani

nicolocorsopersito Località: Via Libertà 33, Le Grazie.

I monaci di Monte Oliveto si insediarono nell’insenatura delle Grazie il 17 giugno 1389, incorporando una preesistente fondazione di Gerolamini che era ridotta, a quella data, a due soli membri; allo stesso modo, il 2 maggio 1432 essi ottennero da Papa Eugenio IV l’abbazia benedettina del Tino.
Nel medesimo atto di donazione il Papa riconobbe agli olivetani il possesso dell’heremitorium cum eius ecclesia intitolato alla Vergine delle Grazie. Si rinviene qui la prima attestazione del toponimo Le Grazie e si ha inoltre la prova del fatto che la devozione alla Madonna delle Grazie non fu introdotta dagli Olivetani; costoro non cercarono di obliterare il culto ricevuto in eredità ma lo riproposero all’interno del loro orizzonte devozionale.

In termini architettonici , ciò significò l’inglobamento della chiesetta attestata nel 1432 all’interno di un più ampio edifico ecclesiale che è rimasto sostanzialmente intatto fino ai giorni nostri. Sono infatti ben visibili i costoloni, con relativi tondi serravolti figurati e peducci a piramide rovesciata, così come è ancora ben leggibile, nel vano absidale, il gioco delle vele, al quale fa eco, nella zona inferiore, la serrata scansione degli stalli del coro intarsiato, eseguito da Paolo da Recco fra il 1496 ed il 1501.
All’interno del refettorio del convento Nicolò Corso realizzò sulle quattro pareti un fregio decorativo includente ventotto oculi, rappresentanti i ventotto conventi che la congregazione era riuscita a creare in Italia, prospetticamente scorciati e dipinse, su uno dei lati brevi, una vasta e luminosa Crocifissione, sul lato opposto era probabilmente prevista un’ultima Cena della quale non si è trovata traccia.Delle ventotto raffigurazioni di cui si componeva la serie dei loci olivetani, ne sopravvivono oggi soltanto dodici. Di esse, le meglio conservate sono quelle relative ai conventi di Firenze, Pistoia (locus XVIII), Fabriano, Prato (locus XXII), Venezia, Napoli (locus XXIII) e Ferrara, rispettivamente intitolati a San Miniato, San Benedetto, Santa Caterina d’Alessandria, San Bartolomeo, Sant’Elena, Santa Maria e San Giorgio.

L’umanità sorridente ed elegante che popola questi oculi è immersa in un lume diurno, protagonista assoluto delle figurazioni, che accarezza e tornisce i volumi, che imbeve di luce i panni, che scivola leggero sull’armatura di San Giorgio. Nella Gamma cromatica, di conseguenza, predominano i bianchi, i rosa, i lilla e i verdi teneri, stesi con pennellate regolari e filamentose.

Nella Crocifissione il ruolo della luce resta fondamentale ma il pittore punta piuttosto sull’equilibrio fra i protagonisti del dramma ed il paesaggio, il quale ha qui una profondità, una complessità ed un peso specifico che non hanno paragoni nella pittura ligure coeva.
Il ruolo preminente del paesaggio comporta una riduzione del numero consueto delle figura ma in compenso, la distribuzione obbedisce ai dettami della simmetria e della variatio. Le figure sono sei per parte ed al gruppo delle tre pie donne si contrappone il gruppo dei tre ebrei.

 

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